Uno degli ultimi episodi del nostro combattimento fu l'allarme per la minaccia di una carica di cavalleria. Si gridava: “gli ulani! gli ulani!”, e si correva tutti a formare il quadrato sopra un rialzo di terreno intorno a un maggiore del 2° reggimento. Gli ulani non comparvero: ma in quella vece un vero turbine di fucilate finì di ridurci a mal partito.
Era passato il mezzogiorno. La nostra ostinata resistenza aveva mandati a vuoto sino allora gli assalti del nemico, ripetuti con forze sempre maggiori, però che esso voleva penetrare fra gli eserciti alleati e separarci; ma oramai, spossati da più che sei ore di lotta continua, incominciavamo a piegare, e ci mancava la lena per ritornare alla riscossa. Io non mi reggevo dalla stanchezza, dal caldo, dalla sete, tanto più che non avevo gettato lo zaino, come molti altri; invocavo una palla, che mi sottraesse alla vergogna di rimaner prigioniero.... In quel supremo momento, si può immaginare con quanta emozione, noi vedemmo spuntare la brigata Savoia, dalle mostre di velluto nero, riserva della nostra divisione. Al passo di carica, vigorosamente battuto dai suoi tamburi, essa traversò, fresca, allineata, bellissima, gl'intervalli delle nostre compagnie, che l'acclamarono entusiasticamente: con un attacco gagliardo alla baionetta spazzò via i nemici, già affaticati anche loro; e così noi fummo salvi.
Brava brigata Savoia! Quel giorno essa pugnò l'ultima volta per il suo re, per la sua dinastia a fianco de' suoi vecchi commilitoni del Piemonte; come l'ultima volta, in quella campagna, essa intuonò al bivacco italiano il ritornello della sua lieta canzone:
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