Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     In principio ci dettero qualche inquietudine. Ma, dopo, abituatici, durante le azzurre e stellate notti d'estate, erano per noi una festa, così le granate trasvolanti sul nostro capo con una coda di scintille e un vivace ronzio, come i razzi da cui si sprigionava un paracadute con una fiamma di bengala, la quale, illuminando i nostri trinceramenti, permetteva al nemico d'indirizzarci una cannonata, che noi però, al lampeggiare della scarica, avevamo il tempo di schivare.
     Ci opprimeva sopratutto il turno di guardia, che ci toccava ogni due giorni. Nelle ore chiare si stava accovacciati nelle buche, e sotto il sole di luglio si arrostiva, e per la stanchezza non ci si reggeva dal sonno. Di notte poi, dovendo fare il servizio di sentinelle volanti, che veniva di solito affidato a noi volontari, si arrischiava sempre, malgrado ogni cautela di parola d'ordine e di segnali convenuti, di pigliarsi in corpo una fucilata dalla sentinella fissa, alla quale bisognava avvicinarsi: lo sparare, per chi è colto dal panico, vien naturale, e nelle tenebre, fra mille accidenti di ombre paurose, in faccia al nemico, è difficile ridurre lo spirito degli uomini tanto calmo da saper distinguere la realtà dalle fantasime della immaginazione sovreccitata. Ciò accadde pur troppo le prime notti; si respinsero degli attacchi veri: ma non mancarono anche gli allarmi falsi, seguiti perfino da mischie funeste, durante una delle quali venne appunto ferito un vecchio caporale della mia compagnia. L'abitudine e la pratica rimediarono a tali inconvenienti in brevissimo tempo, tanto la natura del soldato italiano è pronta a intuire e facile ad addestrarsi.


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Umberto