Ritornato a Milano il 14, non ritrovai più il reggimento partito per Livorno. Lo seguii immantinenti: ma arrivato a Genova, profittai delle ore che ancora mi avanzavano prima di salire a bordo (non esisteva la ferrovia littoranea), per abboccarmi col Bertani e col Medici, e raccomandar loro di annoverarmi tra' volontari di una prossima spedizione per l'isola. E il Bertani mi lasciò intravedere, che se ne preparava una, ma piccola, di cui “pochi sarebbero stati gli eletti”. S'immagini quindi con quale ansia io vivessi in quei giorni a Livorno, temendo sempre di leggere su per i giornali che la nave fosse salpata, poichè io non sapevo come recarmi da solo in Sicilia, già messa oramai fuori di ogni comunicazione regolare.
Il 20 maggio mi fu annunciata l'accettazione delle dimissioni, e senza por tempo in mezzo, preso in fretta congedo dai superiori e dai commilitoni, i quali, com'è naturale, giudicavano diversamente della mia condotta, ma tutti affettuosamente si auguravano di trovarsi presto al mio fianco sui campi di battaglia, m'imbarcai per Genova. Dal canto mio ho conservato sempre un ricordo carissimo del mio antico reggimento, e i legami, stretti in mezzo a quella nobile famiglia militare, vanno per me diventando sempre più preziosi. Per nulla al mondo cederei il vanto di aver vestita la divisa del 1° granatieri, ed oggi ancora, quando vedo quegli alamari spiccare su le uniformi e fiammeggiar le granate, il sangue mi si accende come in un vecchio cavallo di squadrone, e griderei volentieri a quei giovani ufficiali: “anch'io fui dei vostri!”
|