In que' momenti però, pieno d'ardore per la impresa cui mi accingevo, non abbondai in dimostrazioni e fui spiccio negli addii, impaziente soltanto di giungere a far vela per l'isola misteriosa. Ma il Bertani mi calmò, assicurandomi, che per ora non partivano spedizioni, e che avevo tutto il tempo di andare a casa; e così venni di nuovo a Varese.
Qui trovai Felice Origoni, che ignaro della risoluzione di Garibaldi, si trovava in Sardegna al momento della partenza da Quarto, e ora anelava di raggiungere il generale in Sicilia. L'Origoni era un vecchio amico della mia famiglia; abbandonato sin da giovane il paese nativo, e datosi alla marineria, aveva corso il mondo, e fatto anche parlare di sé per una traversata dell'Atlantico su di un piccolo battello, quando così fatti ardimenti non erano tra noi di moda. Legatosi d'amicizia in America con Garibaldi, ne aveva sempre seguite le fortune, laggiù, in Lombardia, a Roma, e serbava, a testimonianza delle sue avventure, una cicatrice di ferita d'arma da taglio nel bel mezzo del naso, che non lo abbelliva, ma gli conferiva un certo carattere originale.
Concertammo di viaggiare insieme, con piena soddisfazione di mia madre e di mio padre, i quali vedevano in lui un appoggio alla mia inesperienza. Io, inquieto e impaziente a malgrado delle assicurazioni del Bertani, tornai a Genova la mattina del 25; Origoni mi doveva raggiungere la sera.
Un'ora dopo mezzogiorno, risalendo per caso all'albergo, udii raccontare vagamente, che una spedizione partiva la notte stessa per la Sicilia: nessuno però ne aveva notizia certa; non si conosceva né chi la componesse, né chi la guidasse. Per attingere schiarimenti, corsi dal Bertani; questi mi rispose asciutto, che erano fandonie. Mi rivolsi al Medici; mi ripetè anch'egli, che pel momento non partiva nessuno, e mi fece in cambio un mondo di promesse, dicendomi, che si sarebbe giovato di me per l'avvenire, come ex-ufficiale dell'esercito, nell'organizzare i volontari per una nuova spedizione.
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