Intorno a quei due e al Vassallo, anch'egli siciliano, a poco per volta si raccolsero i più colti, e si formò a poppa un crocchio simpaticissimo. Il Faldella magnificava l'Inghilterra e non ammirava che gl'inglesi; l'Agnetta i francesi: la discussione si animava, e le ore passavano piacevolmente.
Si costeggiò con buon tempo la Corsica verdeggiante. Alle bocche di Bonifacio il vento rinfrescò, e non senza pericolo, mancando noi di pilota, si poggiò all'isola della Maddalena per approvigionarci di carbone, avendo l'Utile la stiva ingombra di casse, e non tenendo posto che per il combustibile di due giorni.
Gl'isolani, che ci guardavano in gruppi su la spiaggia perché giorno di domenica (27 maggio), saputo che andavamo a raggiungere Garibaldi, ci festeggiarono cordialmente. Ma le autorità locali, insospettite, opposero molte difficoltà allo sbarco e all'approvigionamento, e solo in seguito a uno scambio di telegrammi col ministero si ottenne quanto occorreva. Passammo dei brutti momenti appena arrivati, mentre vedevamo Agnetta sbracciarsi a discutere su la calata con gli ufficiali del porto, per timore di non poter proseguire il cammino.
La condotta ostile dei rappresentanti del governo, la proibizione per parte dell'Agnetta d'impostar lettere, a fine, ei diceva, di dare a conoscere il meno possibile la rotta dell'Utile, la mancanza assoluta di notizie di Garibaldi, la constatata deficienza di qualità nautiche del nostro legno, formavano un assieme di circostanze, che
non potevano non colpire le nostre menti. E infatti uno dei nostri fu colto dal panico, e al levar dell'ancora si fece calare a terra per ritornarsene a Genova. Ma ad onore della spedizione, il suo esempio non fu imitato, ed egli stesso, più tardi, mosse per la Sicilia, ove al fuoco cancellò il ricordo di quell'ora di debolezza.
|