Gli abitatori, dalla tinta olivastra, dagli occhi neri e lucenti, montati su briosi e magri cavallini della Barberia, con la lunga “scoppetta” attraverso la sella, ci venivano d'attorno e ci davano festosi il benvenuto.
A Vita trovammo alcuni feriti di Calatafimi, ai quali fu di grande conforto l'apparizione improvvisa e inattesa dei compaesani, ancora avviluppati dal soffio dell'aura nativa. Più in là visitammo con sacro raccoglimento quel campo, ove si decisero le sorti dell'isola. Le nostre guide, garibaldini feriti in quella giornata, ci mostravano a uno a uno i luoghi ne' quali erano caduti essi stessi, quelli ne' quali avevano veduto cadere l'amico, e dove il mio conterraneo Martignoni aveva avuto le reni fracassate da una palla; la leggenda era ancora di là da venire, e però né io chiesi né altri m'indicò il posto in cui Bixio e Garibaldi si scambiarono le parole memorabili, o l'altro, in cui stramazzò, con la bandiera in alto, lo Schiaffino. Sebbene la battaglia fosse avvenuta soltanto quindici giorni prima nessuna traccia ne rimaneva per tutto il terreno all'intorno.
Invece, tracce recenti della guerra civile, efferata e selvaggia, s'incontravano in alcune borgate da noi attraversate. A Partinico, per esempio, si vedevano ancora le case saccheggiate ed arse, i campi calpestati, e qua e là gli avanzi carbonizzati de' roghi, su' quali, al dire de' paesani, i borbonici avevano bruciato i cadaveri non ancora freddi de' liberali, mentre, come i borbonici asserirono più tardi, fu proprio il contrario. Probabilmente, vere l'una e l'altra versione.
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