Ne nasce un parapiglia infernale. L'Agnetta mette mano alla sciabola, e i nostri si vogliono scagliar sul Bixio per vendicare il loro comandante. Giuseppe Dezza, il compagno di Bixio, ed altri ci si buttano di mezzo per trattenere i contendenti. A gran fatica le cose si acquetano. L'Agnetta voleva aver subito, e con ragione, una soddisfazione per le armi. Ma Garibaldi, a più buon diritto, proibì il duello: i tempi non permettevano a lui di dare a un Bixio il lusso di giuocarsi la vita. L'Agnetta dovette rassegnarsi e mordere il freno; dopo ventidue mesi egli cancellò l'ingiuria, piantando una palla nella mano dell'avversario, e storpiandogliela per sempre. Di simili scatti di Nino Bixio se ne contano molti. Ma le sue alte doti di cuore e di mente li compensavano ad usura, così che pochi generali furono come lui amati dai loro soldati. Io però non ebbi mai occasione di avvicinarlo, e non posso esprimere alcun giudizio personale intorno a quella grande figura del nostro risorgimento.
Con la consegna del convoglio e di una lettera segreta pel dittatore, affidatagli dal Medici con raccomandazioni severissime, ebbe fine la missione speciale dell'Agnetta. E la guardia d'onore al feretro del Tukory, durante l'imponente funerale, cui presero parte volontari e popolo, fu l'ultimo atto compiuto dalla sua spedizione, la quale, pel modo con cui fu condotta, e per avere la prima raggiunti i Mille, merita di non essere del tutto dimenticata. Mentre pertanto noi ci disseminavamo fra i ranghi dei nostri precursori, l'Agnetta entrava nel commissariato, ove prestò non pochi servigi; a campagna finita, ebbe poi dal governo il posto di prefetto, che occupò nella provincia di Massa dal 1870 sino alla sua morte, avvenuta il 4 aprile del 1889. |