Nobili sfarzosi e laceri plebei, monache e frati di ogni colore, divise militari di ogni foggia, circolavano dappertutto e rendevano allegre e pittoresche perfino le macerie che ingombravano la città intera, sconquassata dal bombardamento. Numerose barricate, veri baluardi di pietre, interrompevano ad ogni passo il cammino, principalmente per le vie Toledo e Maqueda. In mezzo a Toledo pendeva ancora un enorme velario, messo colà durante la lotta per impedire lo scambio dei segnali fra le navi e le truppe trincerate nel palazzo reale. Il percorso dalla Marina a porta Nuova s'intraprendeva come un viaggio di avventure. La folla impaziente, girando le barricate massicce, si era aperto un varco attraverso le circostanti case diroccate, e qua infilava i corridoi di un monastero, là i ricchi appartamenti di un palazzo, altrove un seguito di luridi bugigattoli. E la moltitudine incalzava, gridando e gesticolando, e innumerevoli poverelli assediavano con l'eterna canzone: “moion di fame”, dimenando l'indice e fissando il pollice sotto il mento. Per liberarcene, bestemmiavamo come turchi, cị che li scandolezzava e li metteva in fuga.
Non mancavano le scene teatrali: le funzioni solenni, il battaglione degli adolescenti con la camicia rossa e le alabarde, ed altre rappresentazioni come in Lombardia nel 1848. Non mancavano le tragedie, come la caccia agli sbirri dell'antica polizia, soprannominati sorci, che venivano scovati nei nascondigli, e, quando per loro fortuna si arrivava in tempo a strapparli dalle mani di quei furibondi, trascinati a furia in prigione fra le imprecazioni generali. |