Il lavoro di organizzazione continuava intenso, ma presto bisognò convenire, che la baraonda di Palermo non lo favoriva gran fatto. Gli ufficiali volevano ristorarsi dei disagi patiti, e la scialavano; i picciotti, nella confusione che regnava, si dileguavano. Occorreva un provvedimento pronto e radicale, che venne preso senza indugio. Ogni brigata ebbe ordine di partire per la sua destinazione: la brigata Bixio per la costa meridionale dell'isola, la brigata Turr per il centro. Nel frattempo, il 19 giugno, sbarcava a Partinico la brigata Medici in pieno assetto di guerra, seguita a breve andare dalla brigata Cosenz e dal reggimento Malenchini; e questi corpi venivano trattenuti a disposizione del dittatore, che pensava di avviarsi lungo la costa settentrionale per fronteggiare i borbonici ancora padroni di Milazzo. Punto estremo, cui dovevano convergere le tre colonne, Messina.
Il 20 giugno la brigata Turr, passata in rivista da Garibaldi, forte di poco più che cinquecento uomini, s'incamminò per l'interno, con vera soddisfazione di coloro che amavano compiere coscienziosamente il loro dovere. Alla prima tappa però, a Misilmeri, ci arrestammo due giorni ancora, per aspettare coloro che si erano attardati a libare l'ultimo sorso delle delizie di Palermo, e per ordinare il lungo treno di armi e di equipaggi destinati alle reclute future.
Anch'io, invero, tornai la sera alla capitale, attratto dal vivo desiderio di vedere i nuovi arrivati della spedizione Medici, che doveva appunto nel pomeriggio di quella giornata entrare in Palermo. Strinsi la mano a Francesco Simonetta, a molti amici e a molti conoscenti; dal capitano Alessandro Cattaneo e dal tenente Pietro De Bernardi, che comandavano una compagnia di comaschi e di varesini, ebbi finalmente notizie e lettere della famiglia. L'indomani, per tempo, raggiunsi il mio corpo, alquanto offeso, non lo nascondo, nel mio amor proprio di granatiere, dal paragone fra l'ordine delle truppe di Medici e il disordine dei miei soldati.
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