La nostra marcia nell'interno dell'isola, perché sgombra di soldati borbonici, fu senza emozioni. Se in qualche comune esistevano dei reazionari politici o dei perturbatori dell'ordine, essi, all'annunzio del nostro arrivo, si dileguavano prudentemente, e noi trovavamo dappertutto accoglienze solenni.
Si accampava fuori delle borgate; quando si entrava, ci venivano a preferenza destinati per alloggio i conventi e le case dei preti. Le famiglie dei cittadini, quando erano costrette ad ospitarci, di solito relegavano le donne negli appartamenti più riposti, e noi non riescivamo a scorgere che quei pochi visini, che la curiosità femminile spingeva a sbirciarci. Se però la dimora si protraeva di qualche giorno, la bonarietà lombarda finiva per ammansare la gelosia siciliana, le signore comparivano, e si avviavano con esse relazioni cordiali.
Nei pubblici ritrovi i cittadini ci prodigavano mille cortesie. Non si poteva pigliar nulla al caffè ed al casino che non si trovasse pagato. E quella risposta invariabile quando si lodava qualche cosa, quell' “è vostro”, certo senza valore in sostanza, pure mostrava, almeno in apparenza, il desiderio di essere affabili.
A rompere la monotonia delle nostre tappe io ebbi la fortuna di prendere parte a due diversioni interessanti.
L'autorità municipale di Prizzi, un paese di montagna su la nostra destra, fece sapere al nostro comando, che alcuni prepotenti, alla testa di una squadriglia, commettevano ogni sorta di abusi contro le sostanze e le persone dei cittadini.
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