Dal lato morale poi devo convenire, che le intime soddisfazioni compensavano largamente le fatiche più gravose e i contrasti più acri e difficili del nostro ufficio. Ci attorniava, in primo luogo, un ambiente molto simpatico. Incominciando dai capi, l'Eber, se non aveva un carattere espansivo, era però un perfetto gentiluomo, coltissimo e correttissimo, e Spangaro più che da superiore ci faceva da padre. Fra i colleghi il Frigerio, anima d'oro, di quei tali, che vederli e non amarli è impossibile, strinse meco amicizia, che soltanto la sua morte gloriosa disciolse. E gli ufficiali delle Guide, che si alternarono al quartier generale, tutti indistintamente lasciarono in noi le più care memorie. Oltre al capitano Emilio Zasio, furono presso noi di passaggio quattro trentini, dei quali non saprei dire chi fosse migliore per cuore, per intelligenza, per coraggio: Egisto Bezzi, di una freddezza inalterabile al fuoco, di una calma senza pari nei maggiori momenti di pericolo, carissimo a Garibaldi, e in ogni moto d'Italia uno de' primi; il biondo Filippo Tranquillini, che sotto il sorriso ironico, nascondeva le doti più gentili dell'animo; il conte Filippo Manci, dolce, delicato, ma di ferro alle fatiche e nei combattimenti, cui il fato serbava una morte
tanto tragica; e il conte Francesco Martini, dotato di rara distinzione, degno compagno de' suoi conterranei: tutti quattro, amici sicuri a qualunque prova. Poi due mantovani: Giuseppe Nuvolari, solitario, accigliato, perfino quando pareva sorridesse alle nostre follie, tra' più fidi di Garibaldi, cui seguiva anche a Caprera; e Stefano Gatti, giovinetto pieno di brio e di speranze, aiutante di campo del brigadiere. Quando il nostro gruppo cavalcava dinanzi alla brigata, e il rosso vivace delle camice si confondeva con il bianco de' haik svolazzanti e con il grigio delle attillate uniformi delle guide, esso offriva davvero un quadro pittoresco. |