Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     La straordinaria ricchezza dei paesi dell'interno m'impressionò talmente, che avevo raccolto dati e notizie con un lontano e vago proposito di tornare laggiù a tentar la fortuna, a guerra finita. “Questa Sicilia è ricca tanto, che pare un paese di fate”, scrivevo a casa il 5 luglio. “Un proprietario mi raccontava, che avendo comperato tremila capi di bestiame, in un anno raddoppiò il capitale; un altro mi assicurava, che il suo fondo gli rendeva il cento per cento. Il grano produce sino a trentadue sementi per una; dove poi ci sono solfatare, si fanno guadagni favolosi. E sì che l'agricoltura è preadamitica!” - Quale mutamento da allora a questi tempi!
     Le nostre marce si avvicendavano, ora comodamente per la via consolare, ora con minor agio e maggiore varietà per le scorciatoie; ora nella notte, ora in diversi periodi della giornata. Ma tale alternativa non riesciva a rompere la monotonia del paesaggio, a calmare l'impazienza, che agitava gli spiriti. Oramai ne avevamo abbastanza delle rocce nude delle montagne, del giallo uniforme delle campagne interminabili, in mezzo alle quali ben di rado l'occhio riposava sul pallido verde di un bosco d'ulivi; ne avevamo abbastanza de' borghi aggruppati su le alture, in mezzo a' giardini d'aranci e vigneti, sempre uguali; ne avevamo abbastanza della scarsezza delle acque, anche di quel vino color mattone, troppo ricco di alcool pei nostri palati. Ma sopratutto ci opprimeva l'assoluta lontananza dal mondo, in momenti di tanta generale commozione; la mancanza di notizie, di comunicazioni facili e rapide; l'apatia politica delle popolazioni, appena velata dalle accoglienze festose, e dalle sincere ma platoniche acclamazioni a Vittorio Emanuele, a Garibaldi, all'Italia una. Anelavamo di mescolarci attivamente alla guerra che si combatteva, di vivere anche noi la nostra parte nelle grandi emozioni del paese. Ci pareva allora, che per raggiungere cotesto ideale bastasse toccar la sponda del mare, e sospiravamo, invocavamo l'arrivo a Catania. Ma, ben inteso, mi affretto a dirlo, appena giunti, Catania non ci bastò più, e volevamo Messina, e dopo Messina le Calabrie, e dopo le Calabrie Napoli! E così via via, come accade sempre.


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Umberto