Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Vi accorremmo difilato, e fummo accolti da una gentildonna, distintissima, la quale, attirata e dalla bizzarria della richiesta e dalla franchezza degli invitanti, che dopo tutto avevano l'aria di giovanotti per bene, rise della trovata, e informatasi dei particolari, assunse, insieme con il marito, l'impegno di provvedere lei a tutto quanto riguardasse gl'inviti. Noi, superbi del risultato, ritornammo, fra le acclamazioni degli amici increduli, che ci avevano già apparecchiati i fischi, per mettere in atto l'altra parte del programma.
     Un'ora dopo, gl'invitati, con le mogli e le figliuole, in semplici acconciature secondo il convenuto incominciavano ad affluire nelle nostre sale, di cui Eber faceva gli onori, e la musica intuonava i primi accordi, ....quando lo scoppiettio della moschetteria, seguito da un colpo di cannone, fece ammutolir tutti. Un ufficiale accorre, e ci avverte che i nostri posti, al Porto, sono alle prese coi borbonici. È assurdo..., ma bisogna andare! Gl'intervenuti pigliano congedo, e noi arriviamo su la spianata proprio in tempo per veder finito il tafferuglio e tornarcene scornati negli appartamenti deserti del palazzo Grano. Quanti moccoli, quella sera, contro quei poveri picciotti!

     Questo fatterello, riferito anche da Massimo Du Camp nella sua Expedition des Deux Siciles, ma con tanti ricami e tanti apprezzamenti da snaturare la semplicità cordiale, dà una idea del brio che regnava nel nostro stato maggiore. In esso infatti si raccoglieva un insieme di persone, che per la varietà delle origini, e la singolarità dei caratteri, costituiva come un piccolo mondo.


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Umberto