A Milano lo avrebbero definito “una macchietta”. Aveva gli occhi a sghembo, una folta zazzera ricciuta, e dei modi così ridicoli, imparati nel mestiere di barbitonsore, che formavano la delizia de' subalterni dello stato maggiore. Quando salutava militarmente, sgranando gli occhi e portando la mano colle dita aperte a lato della testa chinata su l'omero, io dovevo sempre subire i complimenti ironici dei miei commilitoni. Per il bel sesso aveva una tendenza irresistibile. Appena si arrivava in un paesuccio, egli si appiccicava alle gonnelle di una femmina, che chiamava “comare”, nelle cui buone grazie s'insinuava con mille vezzi e moine. Mi faceva arrabbiare, ma si mostrava poi tanto affezionato, che presi anch'io a volergli bene. Anzi i miei amici pretendevano, che fossi con lui troppo indulgente; ciò che forse era anche vero.
Subito che cessò il delirio della febbre, all'insaputa di tutti, ordinai al mio Spiridione di procurare due mule (tutti i cavalli e i carri della brigata avevano proseguito per la strada consolare); salutai l'ospite e i medici solo all'ultimo istante, per timore frapponessero ostacolo alla |