In quella circostanza mi constò il sangue freddo del Bezzi, che ci aveva allora allora recato un ordine di Turr. Fermo in sella, appoggiato al muro del chiostro, lo vidi aspettar la valanga nemica, solo, senza scomporsi, senza batter le ciglia. Nessuno di quei cavalieri uscì dai ranghi per investirlo, nessuno osò attaccarlo; ed egli, passato il turbine, riprese la via come se nulla fosse stato.
Ritiratisi sotto i forti di Capua, i borbonici più non si mossero, e noi pernottammo sul campo, paghi del nostro successo, ma ignari di quanto era avvenuto intorno a noi. E in quella sospensione d'animo dovevamo poi restare per non breve ora; chè se fummo presto rassicurati su l'esito generale della giornata, ci volle del tempo prima di raccapezzarci su tutto l'andamento della battaglia, e sapere minutamente della difesa di Maddaloni, della morte di Bronzetti, della condotta eroica del nostro Spangaro, e dei tanti altri episodi de' quali l'ordine del giorno di Garibaldi ci aveva dato un cenno sommario. Del combattimento del 2 ottobre avvenuto a Caserta fra le truppe borboniche del general Perrone e i garibaldini coadiuvati dai bersaglieri piemontesi, non udimmo addirittura a parlare che più tardi, quando fummo a un tempo informati, con grande nostra sorpresa, del pericolo corso dai nostri bagagli, che erano nella reggia, di diventar preda e bottino dei nemici.
E qui mi giova una volta per tutte ricordare che se adopero le parole piemontesi per indicare le truppe del re Vittorio Emanuele, e regi o anche napoletani per quelle del Borbone, lo faccio perché allora si usavano correntemente fra noi, e ne ricordi di quell'epoca, trascritti quasi testualmente dalle mie lettere, le lascio senza scrupolo di sorta.
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