Il Re, invece, non venne, e fu male. La sua presenza avrebbe prodotto un effetto eccellente, mentre la mancanza ne produsse uno pessimo. Quanti malintesi si sarebbero evitati, se fra Vittorio Emanuele e Garibaldi non si fosse intromessa tanta gente vana e mediocre!
Il Re, accompagnato da Garibaldi, entrava in Napoli il 7; Garibaldi partiva il 9 per Caprera, e lo scioglimento dei corpi dei volontari si accelerava sempre più. Eber, affidato il comando della brigata al colonnello Bassini, se ne andava con la stessa freddezza con cui ci aveva guidati, senza dimostrazioni né da parte sua né da parte nostra. Anni dopo sapemmo, che tornato in patria quando l'Ungheria e l'Austria si furono rappacificate, egli era stato eletto membro di quel Parlamento; e non fu senza rimpianto alla memoria di lui che udimmo più tardi della sua morte dolorosamente tragica.
Gli ufficiali ci abbandonavano alla spicciolata, di mano in mano che ricevevano le dimissioni, o erano destinati ai depositi dell'esercito. Soltanto noi dello stato maggiore restavamo in ufficio sino ai primi del gennaio per redigere i congedi, e sistemare l'amministrazione.
Non uscivamo quasi più da Caserta. Il soggiorno di Napoli diventava uggioso più che mai, in causa del maledetto dualismo fra l'esercito meridionale e il regolare, che si era aggiunto a tanti altri contrasti disgustosi. L'esaltazione partigiana aveva rotto ogni misura. Se da un lato i garibaldini, specialmente quelli che non avevan fatto nulla, inveivano contro il governo del re, che importava leggi e regolamenti moderatori, dall'altro si ostentava senza pudore l'ingratitudine e l'oblio. Credendo di fare atto di sottomissione al nuovo ordine di cose, si udivano coloro, che poco prima si prostravano a Garibaldi, rinnegarlo e denigrarlo, quasi egli non avesse operato che a suo profitto e a danno della patria....
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