Il Perseverant gettò l'àncora nel porto di Napoli la sera del 7 agosto. Noi, dopo aver titubato alquanto, scendemmo a terra ed alloggiammo all'Hotel de Genève, cercando avidamente notizie. Ma neppure i deputati, che ne avevano agio ben più che noi, riescirono a cavar nulla di attendibile in mezzo a quell'ammasso di fandonie grossolane o fantastiche, d'invenzioni nebulose o iperboliche, che correvano per la città. Ci assicurammo soltanto, che Garibaldi si trovava ancora in Sicilia, anzi nel centro dell'isola.
Anche a Napoli v'erano molti volontari, impazienti di unirsi al generale, ma a ciò impediti dal governo. Tra gli altri, Francesco Nullo, il quale ci raccontò che la Questura lo sorvegliava attivamente, ciò che anzi lo aveva voluto rinviare nell'alta Italia; ma egli, con astuzia da cospiratore provetto, aveva giuocato un buon tiro alle guardie incaricate d'imbarcarlo sul vapore di Genova, sostituendo a sé il suo domestico. E rideva di gran cuore della gherminella.
A noi pure riescì difficile ottenere sui nostri passaporti il “visto” necessario, per poter risalire a bordo. Malgrado le nostre proteste e la menzogna spudorata degli affari ferroviari, senza l'intervento provvidenziale de' nostri compagni deputati saremmo probabilmente rimasti a terra. Infatti, quando si salpò l'8 a sera, la Questura aveva disposto intorno al Persevarant un vistoso apparato di forze, destinato ad impedire la partenza a chi non fosse munito di regolare autorizzazione.
Impazienti per le oscure informazioni raccolte a Napoli, si passò questa seconda parte del viaggio in condizioni d'animo ben diverse che nella prima; e quando si approdò a Palermo la sera del 9, stufi del mare, s'aggiunse ancora la inquietudine e il timore di venir sequestrati o rimandati via dalle autorità dell'isola, che avevano ordini rigorosissimi. In questo caso non avremmo potuto neppur contare su l'audacia e la presenza di spirito, come avvenne a Clemente Corte, cui toccò rompere la consegna, qualche giorno prima del nostro arrivo, con uno strano sotterfugio. Vedendo egli, appena arrivato in porto, un altro vapore carico evidentemente di volontari, e guardato da barche piene di soldati, s'insospettì che vi fosse divieto per tutti di sbarcare. Quando poi questurini e carabinieri si disposero parimenti intorno al suo piroscafo, e il sospetto gli si mutò in certezza, egli si appuntò in fretta all'occhiello dell'abito il nastro della croce di Savoia, ed affrontando il carabiniere di guardia alla scaletta, gli disse in piemontese: “Pieme la pcita valisa, e dis a to courounell Basso che a pena colà a terra i andreu da chiel”. E il carabiniere, sconcertato, credendo di aver dinanzi un generale del Re, lo salutò militarmente, pigliò la valigia, e fece avvicinare una barca, in cui Corte saltò alla svelta, raggiungendo poi alla Ficuzza Garibaldi, che lo avea colà chiamato dal continente.
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