Mentre attendevamo a ciò, io m'imbattei nel tenente Carlo Biffi di Milano, del 53° di linea. Con le voci che correvano, di fronte alle disposizioni severe che il governo impartiva, è facile comprendere quale commozione dovesse destare cotesto incontro fra un garibaldino ed un ufficiale dell'esercito, coetanei, condiscepoli, antichi commilitoni, amicissimi sempre. Nello stringerci la mano, una nube di angoscia contrasse le nostre fronti. Io balbettai di volo la solita panzana degli appalti ferroviari: egli finse di crederla, e si andò a pranzare insieme. Passammo la serata alludendo agli eventi del giorno sol quanto strettamente occorreva, perché non sembrasse un'affettazione il non parlarne; ma rammentando invece, e lungamente e calorosamente, le care ore di abbandono fraterno, passate all'università, nella caserma, su' campi di battaglia, quasi per assicurarci della immutabilità del nostro affetto durante quella terribile contingenza, qualunque cosa fosse mai per succedere.
Noleggiate le vetture, l'indomani uscimmo da Catania, seguendo la via consolare, che corre lungo le falde dell'Etna. Attraversammo senza difficoltà i distaccamenti del 3° e del 4° reggimento fanteria, cortesemente accolti dal signor Ciancio, capo della guardia nazionale. Al ponte sul Simeto, presso Adernò, incontrammo il colonnello Eberhardt; e del nostro incontro, innocentissimo, fu poi questione quando più tardi si osò ripetere (e se ne discorse alla Camera!) che i deputati, i quali erano con noi, avessero allora tentato di subornare gli ufficiali superiori dell'esercito. |