ovunque egli pensasse d'imbarcarsi. Come se mai fosse stato possibile tenere un simile discorso!
Infatti, quando udimmo quella voce, che ci ringraziava di essere andati a lui, proferendo parole, che nessuno ha mai saputo trovare; quando lo vedemmo così calmo, così sereno, così sicuro della giustizia della sua causa: propositi, timori, sospetti, tutto sparì; non fiatammo neppure, e la nostra sorte fu legata indissolubilmente alla sua.
Così trovammo tra' commilitoni, che seguivano Garibaldi alcuni tranquilli, coerenti, preparati ad usare i mezzi voluti dal fine, e quindi a lottare anche contro l'autorità costituita del proprio paese, quando questa, com'era facile prevedere, si fosse opposta all'attuazione del loro programma. Altri, pensosi, colpiti, perché spinti dal solo desiderio di toccar la spiaggia romana, non avevano mai preveduta la possibilità di un conflitto coi nostri. La massa, indifferente, fidava nel condottiero senza guardare più in là. Mentre i primi, nel darci un caldo benvenuto, si congratulavano con noi della brava decisione presa di raggiungerli, gli altri si rallegravano con sé stessi di aver nuovi compagni nella inquietudine angosciosa dell'animo, nuovi compagni, con i quali condividere la responsabilità della situazione. Tutti però si cullavano nella speranza di arrivare al mare senza colluttazione. “Se tocchiamo il mare, Garibaldi saprà bene condurci a Roma”, ripetevano; e guardando alla turba, che avevano intorno, memori dei picciotti del 1860, aggiungevano: “e sul mare metteremo al dovere anche cotesti ragazzacci”. Chè pur troppo molti di quei ragazzacci avevan bisogno di essere richiamati sollecitamente al dovere!
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