Appunto nel giorno del nostro arrivo alcuni dello stato maggiore, il Nicotera, il Missori, il Corte, il Bruzzesi, il Civinini, il Guerzoni, il Fazzari, indignati per la condotta più che indecorosa di una banda del Corrao, volevano appellarsene a Garibaldi, e avevano perfino ventilato di dichiarargli, che se non cacciava via i colpevoli, e non ne puniva i capi, essi si sarebbero tirati in disparte. Tutti conoscevano il modo di pensare del generale, che si riassumeva nella risposta detta a chi dava a un suo volontario del mascalzone: “si batte, e mi basta”; massima, che non consiglierei ad altri capitani di adottare, però che troppo sovente il mascalzone “non si batte”. Ma questa volta la banda del Corrao aveva davvero trasceso i limiti; mancava soltanto chi osasse moverne doglianza al generale.
Giunsero quindi a buon punto i deputati. Durante la marcia da Regalbuto a Centorbi, gli ufficiali dello stato maggiore si apersero con il Mordini, e lo indussero ad essere loro ambasciadore. E il Mordini finì per accettare la missione, né facile né divertente; e a Centorbi si recò da Garibaldi, che era, quando Basso lo introdusse nella stanza, disteso sopra un lettuccio di campagna, e a cui, con la maggiore e migliore arte di questo mondo, profittando dell'affabilità con cui lo accolse, rappresentò il mandato, facendo in ultimo i nomi de' mandatari. Non appena ebbe finito di parlare, Garibaldi, che non gli aveva mai spiccati gli occhi di dosso, affascinandolo man mano colla severità del suo sguardo, si levò a sedere, e puntando le braccia sulla sponda del letto, e protendendo la faccia, e mandando lampi: “vadano” ruggì, “vadano subito; io non ho mai avuto bisogno di nessuno, basto da solo!” Mordini, molto confuso, se la cavò senz'aspettar altro; e a mezzanotte, quando il generale ordinò di nuovo i volontari in colonna, e, come se nulla fosse stato, diede il segnale della partenza, i riottosi ufficiali dello stato maggiore gli si misero, dimessi e silenziosi, alle calcagna. |