Che notte fu quella! Fra le tenebre, per sentieri dirupati, con quella razza di volontari, sapendo di esser circondati dalle truppe, aspettandoci ad ogni istante “l'alt chi va là” delle loro pattuglie, che avrebbe dato il segnale della lotta fratricida! Non posso rammentar quelle ore senza correre col pensiero ad una mia cavalcata notturna, di alcuni anni più tardi, al Turkestan, lungo le rive del Sir Daria, il fiume Jaxarte degli antichi, quando spingevo innanzi, nella oscurità, uomini e bestie, terrorizzati dalla minaccia di essere assaliti da una tigre reale, di cui si udiva il rauco brontolare fra i giuncheti, e che aveva già portato via, balzata fuori improvvisa, il cavallo sottomano al palafreniere indigeno che ci precedeva.
Quella marcia misteriosa, uno dei soliti stratagemmi di Garibaldi, ebbe pieno successo. Deviando da Adernò e riescendo alle spalle delle truppe, che lo appostavano, egli si aprì l'adito a Catania; e intanto, allo spuntar dell'alba, si affacciò a Paternò, ove intendeva trarre le sussistenze necessarie.
Erano di presidio a Paternò soltanto tre compagnie del 53° reggimento, che non avrebbero potuto opporci resistenza. Garibaldi, fermatosi poco lontano dal borgo, chiamò Frigerio e me, e c'ingiunse di consegnare una sua lettera al comandante di esse e di chiedergli libera entrata in paese. E noi, senz'armi, e vestiti in borghese com'eravamo, ci presentammo agli avamposti collocati fuori delle mura, e domandammo dell'ufficiale, che ci volesse condurre presso il maggiore del battaglione. Ci apparve dinanzi Carlo Biffi....
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