Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Lo confesso senza rossore: grosse lagrime ci caddero dalle ciglia, grosse gocce di sudore dalla fronte. “Lo sapevo che a questo si doveva arrivare”, esclamò Carlo, “e l'ho preveduto quando v'incontrai a Catania!” E all'udire il messaggio di Garibaldi: “ma io ho l'ordine di respingervi a fucilate” soggiunse, mentre ci traeva fuor di vista dei soldati per non dar loro spettacolo della nostra debolezza. “O come volete opporvi a noi con tre sole compagnie?” gli dice Frigerio. “E credi che noi di questo ci curiamo?” rispose fieramente; e, senz'altro, ci guidò dal suo comandante.
     Il maggiore Gallois, un vecchiotto di gran cuore, che avevamo conosciuto a pranzo quella tal sera, a Catania, conturbato dalla mossa impreveduta di Garibaldi, che gl'imponeva una enorme responsabilità, mettendolo a rischio di sparger sangue italiano per serbar l'onore del soldato, impartì sotto i nostri occhi le ultime disposizioni della difesa, e ci rimandò via con la risposta, “che egli avrebbe mantenuta la consegna d'impedire ai volontari il passaggio per la borgata, anche a costo di farsi uccidere con tutti i suoi”.

     Al campo ci si aspettava ansiosi, specialmente perché lo stimolo della fame cominciava a farsi sentire. La tristezza dei nostri visi manifestò subito il cattivo esito della missione. Consegnammo a Garibaldi la lettera del maggiore, e gli riferimmo quanto avevamo udito e veduto. Il cuore ci batteva forte, mentre Garibaldi leggeva. Quando levò gli occhi dallo scritto, pendevamo addirittura dal suo labbro: quel minuto era decisivo.


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Umberto