Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Per due giorni ci aggirammo con marce disastrose fra quelle pendici, ora brulle, ora coperte di cespugli, di pascoli, di faggi, di pini, sempre preceduti da Garibaldi, che camminava a piedi del suo passo cadenzato, con la sciabola sulla spalla, attorcigliata nelle cinghie. Mi pare ancora di vederlo, quando chiamò Bernar e me, perché trascorrevamo innanzi alla ricerca di cibo, e ci raccomandò di non allontanarci dalla colonna per non smarrirci.
     L'asprezza della via affaticava molti, e tra gli altri il Frigerio, un po' pesante, ma di una pertinacia straordinaria. Ad Aspromonte trovammo in parecchi rifugio nel casolare mezzo cadente dei Forestali: ma nel colmo della notte, mentre eravamo immersi nel sonno, uno schianto, come se i muri crollassero, ci destò di balzo. Clemente Corte con molta calma impose a tutti di star fermi; poi ci fece uscire, a uno a uno, dalla stretta apertura della porta, evitando, in quella oscurità completa, un disastro. Ma fuori si soffriva tanto freddo, che Frigerio e io ci stringevamo l'un presso l'altro per riscaldarci le membra intirizzite.

     Sovratutto ci tormentò la fame. Prima di arrivare al pianerottolo di Aspromonte, corse per le file la voce della esistenza di un campo di patate in quei dintorni; ed anzi il generale, dando per il primo l'esempio, ordinò di raccoglier legna, per aver poi modo di abbrustolire i preziosi tuberi. Si trovò di fatto un campicello, ma tanto minuscolo, che fu devastato in un lampo dai primi arrivati, i quali per l'impazienza divorarono le poche patate mezzo crude. Giovanni Tabacchi, dei Mille, mi ha rammentato alla Camera di avermi invitato in quella occasione a dividere con lui la sua modesta parte di bottino, e pretende che io non l'abbia neppure ringraziato. Lo faccio ora.


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Umberto