Soltanto il mattino del 29, lunghe file di pittoresche montanine, inviate dai patrioti dei villaggi vicini, specialmente dai Romeo di Sant'Eufemia, ci portarono nei canestri ritti sul capo il pane richiesto da Garibaldi; si macellò del bestiame; infine, si mangiò.
Carissimi e Castellini ci raggiunsero lassù pe' primi e ci ragguagliarono delle mosse dell'esercito. Non avendoci trovati più in Catania, essi avevano piantato in asso il capitano inglese, che Dio sa quante maledizioni scagliò all'Italia e al suo eroe, e sbarcati a Melito, si erano recati a piedi fino a Reggio. Nello entrare in città, imbattutisi con il Cialdini e con il Persano, loro conoscenti, a mala pena li avevano scansati, gettandosi in una stradicciuola laterale; si erano quindi incontrati con il Nicotera, mandato da Garibaldi, come ora dirò, a raccogliere uomini e danaro. Avuta da lui una guida, essi ascesero il monte, e dopo lungo peregrinare, dopo una curiosa avventura con i “guardiani” di don Cirillo, una specie di feudatario, che prima li prese in sospetto, poi, quando seppe che appartenevano allo stato maggiore di “Garibardo”, li colmò di attenzioni, e donò loro un paniere di fichi squisiti pel generale, arrivarono finalmente, la sera del 27, su ad Aspromonte.
Nicotera e Miceli, tutti due calabresi, erano stati inviati a Reggio da Garibaldi appena giunto sul continente. Essendo essi in relazione con i patrioti del paese, ed esercitando con il loro nome un autorità incontrastata su la popolazione, Garibaldi credeva potessero adunar gente, atta a ingrossare le nostre file. Per coadiuvarli nella impresa aveva loro dati a compagni Missori e i due fratelli Lombardi.
|