Nicotera e Miceli trovarono le acque dello stretto ingombre di navi da guerra comandate dal Persano, la città di Reggio gremita di truppe guidate dal Cialdini. Volendo però tentare la esecuzione del mandato avuto, ripararono in casa di Bartolo Griso, dando in essa convegno a coloro, sui quali speravano di poter contare.
Parecchi infatti intervennero, capitanati da un prete così pieno di zelo, che ad uno de' nostri, il quale gli proponeva di pigliare una corazzata alla baionetta, rispose imperterrito: “ Tenteremo!”; parola, che passò in proverbio fra noi. Ma quanto a raggiungere Garibaldi, nessuno volle saperne, pretendendo, che la loro presenza fosse necessaria per organizzare “a' rivoluzione” in paese, e declamando a perdifiato contro Vittorio Emanuele e i suoi “birri”.
Accertatisi della impossibilità di indurre quella gente a seguirli, Nicotera e i suoi colleghi, travestiti da pescatori, fingendo di tender le reti da alcune barchette, passaron via, col favor delle tenebre, fra le navi da guerra, che ad ogni istante li fermavano con l' “alt chi va là?”, e sotto la scorta del patriota Cimato, presero terra,
fuori dello stretto, presso Rocco Morgante, il quale s'incaricò di farli accompagnare al campo di Garibaldi.
Vagarono lungamente per la montagna, evitando le truppe, di cui vedevano di notte la fila ascendente delle lanterne; si rifugiarono una volta sotto l'arco di un ponte, sul quale intanto passava un battaglione di bersaglieri; e anche essi finalmente pervennero ad Aspromonte, dove il generale offerse loro, per tutto ristoro, una manata delle famose patate affumicate.
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