Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Ecco Carissimi, che si trova nelle nostre identiche condizioni; si discute nuovamente con lui dei casi nostri: a che pro' darci nelle mani dei soldati? Ma ci ripugna abbandonare Garibaldi ferito. Nel frattempo i bersaglieri arrivano, e ci separano completamente da lui e dai nostri compagni. Cupi, vergognosi di una fuga, che invano tentiamo di giustificare a noi stessi, ci arrampichiamo su per i dirupi della montagna.
     “Ah, fossero tedeschi!” imprecavamo, digrignando i denti, versando lagrime di rabbia. Frigerio pareva diventasse matto: “morire di una palla italiana!” gridava contorcendosi. Quanto fiele ci si ammassò in quelle ore contro i nemici del nostro paese! L'amara reminiscenza ci punse per molti anni, indimenticabile, fino a quando non ci fu dato di cancellarla, sul campo, con il nostro sangue.

     Eravamo in sei. Un capraio ci guidò a Pedavoli, ove passammo la notte sotto una vecchia tettoia cadente, dubbiosi dell'aria sospetta di quei montanari, che ci si aggiravano intorno, e memori di Domenico Romeo, trucidato colà dalle guardie urbane nel 1847. Prima dell'alba una voce cavernosa andò gridando per le vie del villaggio, che per ordine del sindaco tutti gli uomini atti alle armi dovevano adunarsi in piazza; e noi, non augurandoci nulla di buono da quella chiamata, filammo in fretta, senza chieder altro.
     Noleggiate più giù due mule per i più stanchi, calammo verso la marina, evitando le vie maestre, perché punto tranquilli della nostra sorte, qualora avessimo incontrati dei soldati o dei carabinieri. Giunti la sera a Bagnara, sgattabuiammo a una piccola osteria fuor di mano, tenuta da una matrona colossale, che parve assai lusingata alla vista di cotesti sei gagliardi giovanotti; e mentre già i curiosi accorrevano per attinger novelle, essa ci ammannì in tavola i migliori manicaretti della sua cucina. Intanto, dopo di aver mandato qualcuno a provvederci di una barca, ci condusse a riposare in un ampio camerone; e li, seduta come un monumento in faccia ai nostri letti, piantate le mani sui fianchi poderosi, fra una grassa risata e un'apostrofe gioviale, ci augurò la buona sera. Così nella vita, spesso al dramma si mescola la farsa.


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Umberto