S'imbarcarono; ma dopo breve navigazione, per sfuggire a un vapore che si avvicinava, si gettarono su la costa fra la borgata di Amato e il fiume Angitola, e ripararono nella cascina Fabiani, ove Nicotera e Miceli mandarono per il comune amico Bevilaqua. Questi raccontò loro della catastrofe di Aspromonte, de' proclami del governo, che dichiaravano i fuggiaschi fuori legge, e di un distaccamento di truppe, che era già su le loro tracce.
Nicotera e Miceli, antichi cospiratori, trovandosi nel cuore della contrada nativa, che conoscevano palmo a palmo, in mezzo a compaesani devoti, o per lo meno incapaci di tradirli, non temevano né per sé né per i compagni. Anzi Nicotera, più tardi, volle aver il piacere di affiggere egli stesso i proclami, che portavano fra nomi dei ribelli anche il suo, e dormire nella casa di un amico in una camera attigua a quella, in cui riposava il maggiore di fanteria, che lo cercava.
Procuratisi infine dei passaporti, su' quali Miceli era iscritto sotto il nome di Esposito, Nicotera qualificato per parroco di Maìda, Missori per negoziante di granaglie, e così via, a Pizzo salirono a bordo di un piroscafo, che li portò a Napoli, ove, poche ore dopo il loro arrivo, venne proclamata l'amnistia. Così poterono riprendere le vere loro spoglie, e ritornare senza molestia a casa.
Noi pure, rifugiati a Messina, dopo avere provvidamente telegrafato ai nostri cari, calmando le ansie in cui vivevano a causa delle strane notizie di quei giorni, pigliammo imbarco sopra un vapore della compagnia Valery, dove la prima figura, che ci si fece incontro, fu quella di padre Pantaleo, il quale, rasa la barba, ed arricciati a punta due baffi marziali, si era trasformato in un moschettiere da romanzo, facendoci per poco dimenticare le difficoltà della nostra situazione.
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