I municipi delle città e dei comuni rurali concorsero alacremente a sviluppare la istituzione, tanto costruendo i necessari campi di tiro, quanto appoggiando materialmente e moralmente la formazione delle società. E ogni ordine di cittadini prestò l'opera sua, donando, se non sapeva altrimenti, secondo le sostanze, ogni sorta di premi, che erano contesi ai bersagli in occasione delle feste popolari. Così tutta la nazione, malgrado le ardenti animosità partigiane, si adoperava a preparare per la prossima riscossa anche l'elemento volontario, come l'indirizzo dei tempi richiedeva.
Milano, e ora vengo al caso nostro, a nessuna città seconda nelle generose iniziative, non si accontentò d'impiantare, con larghezza di disegni, i bersagli, e d'imprimere al nobile esercizio un impulso energico entro le norme indicate dai regolamenti, ma volle porre i suoi tiratori in grado di essere al momento opportuno ordinati e pronti ad entrare in campagna. A tale intento la direzione provinciale del tiro, di cui era presidente l'avvocato Molinari, nominò una commissione promotrice, composta degli uomini più noti per le prove date durante la rivoluzione e le guerre antecedenti, quali l'ingegnere Francesco Broggi, il Castellini, il marchese Luigi Crivelli, Angelo Mangili, Molini di Salazar, Eleuterio Pagliano, Pietro Redaelli, Francesco Simonetta, Giacomo Treves. E questi, con un caldo manifesto, emanato il 19 marzo 1862, invitarono la gioventù a fondare una società consorziale dei Carabinieri Milanesi, come si era fatto in altre città d'Italia, citando particolarmente l'esempio di Genova, ove i carabinieri, istituiti sino dal 1850, mantenendo vigorosa la loro associazione, avevano potuto offrire a Garibaldi quel drappello comandato da Antonio Mosto, che fece miracoli. A Milano, continuava il manifesto, si può e si deve fare altrettanto. E concludeva indicendo un'adunanza per il giorno, in cui fosse venuto Garibaldi, e proponendo le norme direttive della futura società.
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