Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Degli altri ufficiali, non avendoli conosciuti prima, non ho nulla a dire, se non che tutti adempirono strenuamente il loro dovere, tanto quelli che partirono con noi da Bergamo, Federico Veronesi, G. E. Cella, Pietro Fontanari, Morandi, Cavallazzi e Banfi, quanto quelli o che ci raggiunsero più tardi, inviatici dagli altri reggimenti, come Angelo Zilio Grandi, o che vennero promossi durante la campagna, appartenenti già al battaglione, come il furiere maggiore Cereda, gl'ingegneri Giulini e Gilardi.
     La deficienza cronica di ufficiali si trovò per buona sorte compensata in parte dal numeroso contingente di sergenti, caporali e soldati, che avendo servito nelle campagne antecedenti, erano in grado di prestare immediatamente un valido aiuto. Noi li ponevamo senza ritardo alla prova, e di mano in mano che ne riconoscevamo i meriti li andavamo destinando ai posti convenienti; ma la fretta fece necessariamente commettere errori grossolani, e promuovere sottufficiale chi non era mai stato niente, e dimenticare caporale o bersagliere chi aveva prima portati i galloni d'argento; eppure, in generale, quei bravi ragazzi si accontentavano di filosofare, ridendo su le peripezie della carriera militare.

     Il furiere maggiore Francesco Cereda, milanese, impiantò ordinatamente la contabilità con l'aiuto di valenti caporali di maggiorità. Tra questi va annoverato Cesare Parenzo, ora senatore del regno, lo storico e il giornalista del battaglione, che brillava per l'ingegno eletto e, non se lo abbia a male, anche per la negligenza della tenuta; tanto che lo si chiamava per celia “brutt brusajè”; né egli si dava la pena di smentire il motteggio se non al fuoco, con la lunga carabina inglese, regalatagli da Garibaldi.


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Umberto