Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     È caduto l'ingegnere Antonio Maldifassi, caporale; a Roberto Conti una palla ha forato le due guance. Giuseppe Bosisio, un ragazzetto biondo di sedici anni, mentre gli volgevo una parola d'incoraggiamento : “Ahi, capitano, sono ferito” grida. Ferito il trombettiere Valloncini; Camboni, Corbellani, Marelli, David, Candiani, Spiller, Corti tutti della 2a, feriti in meno che non si dica. Il caporale Defendente Modini, caduto alle prime mura di Vezza, distribuisce le sue cartucce ai commilitoni, poi si adagia aspettando stoicamente la sua sorte. Barberis ha tre palle nel mantello; Monguzzi una nella giberna, che gli fa scoppiare le cartucce senza offenderlo. Non ricordo i caduti in quel posto delle altre compagnie; fra essi, certo, Ulisse Golfarelli di Forlì, caporale della 3a.

     Quel pugno d'uomini sopravvissuto, esaurite le munizioni, non può reggere, e ripara di nuovo dietro il provvido muricciuolo, trasportando i feriti in una stalla accanto alla cappelletto; ne piglio anzi anch'io uno in collo, Luigi Corti, mentre le palle sibilano furiose e la mitraglia scava lunghi solchi nelle zolle tutt' intorno. Oramai è vano persistere in una impresa disperata; ostinarsi più oltre, senza cartucce, contro migliaia di nemici, solidamente al sicuro e provvisti di cannone, è follia. Bisogna ubbidire all'ingiunzione di retrocedere, che le trombe ripetono insistentemente, non per ordine di Castellini, come io credo, ma dell'Oliva, capitano della 1a compagnia, che ha assunto il comando del battaglione in cambio del maggiore morto anch'egli. Volgiamo indietro, e ripigliamo il cammino già battuto, ma senza affrettarci, eseguendo pacatamente, come se fossimo in piazza d'armi, il fuoco in ritirata, calcolando le cartucce, che ancora ci rimangono, conservando in linea le quadriglie sulla guida a destra, ove son io, mentre all'estrema sinistra è guida il sergente Ferdinando Rinaldi, avvocato di Treviso. Mi spiace di non poter rammentare molti di coloro, che componevano quelle quadriglie: accanto a me si ritrovavano il sergente Francesco Gilardi, ingegnere, già ferito a San Martino e decorato della medaglia al valore a soli sedici anni, non promosso ufficiale dopo il corso di Novara per difetto di età, reduce della campagna del 60, un mazziniano fervente, dall'animo mite di una fanciulla; gl'ingegneri Molinelli e Cuttica, esempi di coraggio e di saldezza; il trombettiere Martinetti, che a malgrado di una contusione di mitraglia toccata alla cappelletta, combatteva sempre e da bravo.


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Umberto