Intanto che noi ci attardavamo nel fondo della vallata contro i nemici chiusi nelle case di Vezza, gli austriaci avevano spinto una colonna lungo la sponda sinistra dell'Oglio, che, nonostante le ingiunzioni del Cadolini, nessun distaccamento del 4° aveva mai occupata. Noi ci avevamo guardato il giorno innanzi nel prendere le nostre disposizioni affrettate, ma avevamo creduto, fidando nella portata delle nostre carabine, di poter battere quel versante dalla sponda destra, senza mandarvi un plotone, il quale, per la mancanza di ponti, sarebbe rimasto isolato. Ma poi il disordine originato dall'abbandono dei villaggi, ci aveva fatto dimenticare di provvedere a quelle posizioni, e così queste erano venute senza contrasto in mano degli avversari, che di là recavano non poca molestia alla mia ala destra.
Altre colonne austriache ascendevano man mano il versante occidentale, e si avanzavano sull'ala sinistra, incalzando vivamente le nostre compagnie, che la proteggevano, le quali, arrivate anch'esse a toccar Vezza senza poterla superare, erano dalla mossa de' nemici costrette a ritirarsi più prontamente di me. Quelle colonne stavano quindi per prenderci in mezzo, quando fortunatamente i miei bersaglieri se n'avvidero, e si disposero a mandar loro lassù una volata di palle. Ma io li trattenni, perché mi sembrava impossibile, che ai nostri fossero già subentrati i nemici; e in mezzo agli alberi e agli accidenti del suolo, la somiglianza singolarissima delle divise dei cacciatori tirolesi con le nostre permetteva il dubbio. Per assicurarmene, ordinai al trombettiere di suonare il “cessate il foc”; ma la risposta allo squillo fu una scarica, che dissipò ogni illusione, e fece scoppiare i bersaglieri in una risata rispettosamente canzonatoria del mio ottimismo. |