Certo, un cenno speciale meriterebbero anche gli artiglieri dei nostri due pezzi, comandati dal sergente Ferrari, quelli tra i rossi, che ebbero parte all'azione, e i doganieri guidati da un tenente, di cui mi spiace avere scordato il nome, modello di attività e di abnegazione. Ma io non potrei che ripetere ciò che fu già detto da altri, ignorando i particolari di quanto essi operarono lontano dai miei occhi.
Avendo io saputo, mentre ero in Edolo, che il suo cadavere giaceva chiuso nel campanile, che sorge isolato in piazza, e desiderando sottrarlo alla eventualità di cadere nelle mani del nemico, mandai pel sagrestano; e fattami aprire la porticina, entrai con pochi amici, e lo trovai infatti composto sul cataletto in mezzo alla nuda cella della vecchia torre. Attorniatolo in silenzio, sollevammo il cappottone sardo di droghetto bruno, che lo copriva, e contemplammo a lungo, compresi di religiosa riverenza, il fiero e amato comandante. La ferita nel viso, che ne rendeva più energica la espressione, la severa uniforme, sulla quale si scorgeva, in mezzo al petto, una piccola macchia di sangue aggrumato, i grossi calzari di lana scura, che gli salivano fin sulle ginocchia, lo facevano sembrare una grande figura di cavaliere antico. Con devoto raccoglimento lo adagiammo sopra un carretto, requisito a forza dal Gilardi e dal Cuttica, e scortato dai suoi fidi bersaglieri, lo conducemmo a Cedegolo, ove bisognò, Dio sa con quale strazio, chiuderlo in una cassa troppo corta per quel suo gran corpo. Il Mantegazza accompagnò la salma alla desolata famiglia, in Milano. |