Ciò non è esatto. Il Castellini, militare provetto, non era uomo da adombrarsi dinanzi alle norme della gerarchia, né da trasgredire volontariamente la disciplina. E se si oppose alla esecuzione dell'ordine di sgombrare Vezza, ciò fece nella piena buona fede, che i subalterni avessero capito male. E in verità, l'insieme delle circostanze lo doveva indurre in quella opinione, come facilmente si può provare.
Nel colloquio, che ebbe luogo fra Castellini e Caldesi, tra le 8 e le 9 di sera del 3 luglio, al quale fui io testimone, il Castellini fece al suo anziano un preciso e minuto rapporto dei provvedimenti adottati da lui per accorrere in tempo a sostenere, in caso di attacco, i difensori dei villaggi; e il maggiore del 4°, che, ripeto, per la depressione fisica, in cui era, parlava perfino stentatamente, lo ascoltò senza fare obiezione di sorta, né lasciò trapelare in nessuna guisa che il Cadolini gli avesse ordinato di far ripiegare la compagnia da Vezza al primo attacco, e concentrare la difesa alle trincee di Incudine.
Quando anzi il Castellini osservò, con la debita deferenza, che i rossi da lui veduti a Vezza erano letteralmente ammassati nelle case, di vero impaccio gli uni agli altri, e consigliò distribuirli più convenientemente, profittando dei giardini murati, fuori del villaggio, il maggiore del 4° mostrò di valutare il suggerimento.
Il Castellni ed io escimmo pertanto dal Caldesi pienamente convinti, che le posizioni da tenersi fossero Vezza e Grano. Con tale mira egli riconfermò le istruzioni, già impartite alle sue compagnie durante la giornata.
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