E si noti che il Castellini non aveva ragione di preferire questo a un altro piano, essendo egli giunto la mattina stessa sotto una forte pioggia, che gl'impedì di studiare le difficoltà del terreno, con la ingiunzione di mettersi a disposizione del maggiore anziano, il quale, dimorando da più giorni in quei luoghi, si supponeva dovesse conoscerli. Sarebbe quindi stato per lui indifferente, quando gli fosse stato ordinato, il concentrare la difesa alle trincee, consistenti del resto in poche zolle smosse dai rossi attorno al parapetto, detto ancora di Cialdini, eretto nel 59 dalle nostre truppe.
Il maggiore del 4° mandò a Vezza l'ordine di ripiegarsi al Malacrida, comandante la 2a compagnia dei rossi, non si sa perché, solamente nella notte del 3 al 4, senza avvertirne il Castellini. E ben s'intende come, allorché il Malacrida, avanti l'alba del 4 venne accompagnato da me al Castellini, e gli dichiarò di aver ricevuto l'ordine di ritirarsi da Vezza e Grano, il Castellini non potesse capacitarsi, che si fosse deliberato un movimento così importante senza prevenirlo. Rammentando allora il discorso tenuto alcune ore prima con il Caldesi, dubitò subito che il Malacrida avesse frainteso; e rivoltegli molte domande, dalle confuse risposte arguì che il maggiore dei rossi aveva mandate le istruzioni perché i soldati fossero collocati fuori del paese meglio che nelle case, come consigliava lo stesso Castellini, e che tali istruzioni, trasmesse a voce, erano state falsamente scambiate per una ingiunzione di sgombrare i villaggi. Spiegando quindi al Malacrida il concetto del messaggio, come a lui parve evidente, e persuadendolo a tornare al suo posto, il Castellini credeva fermamente di rettificare un errore, di agire secondo la volontà del suo anziano. Ed io, presente all'abboccamento con il Caldesi ed alle spiegazioni con il Malacrida, ero dell'identico parere del Castellini.
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