Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Finalmente, dall'essere il Castellini rimasto ucciso, si trasse argomento ad accusarlo di temerità quasi morbosa.
     Ora, se andiamo a cercar la origine di così fatta insinuazione, ci è facile rintracciarla nei racconti iperbolici di pochi inesperti, arruolatisi non più che per seguir l'andazzo generale, i quali, scambiando la guerra per un giuoco, appena udirono fischiar le palle, e videro che ci si ammazzava sul serio, scapparon giù per la Valcamonica, e a loro scusa, lungo il cammino, andarono ripetendo che il comandante aveva condotto il battaglione al macello. La invenzione, facendo comodo a molti, mise radici, come suole avvenire, e diventò storia provata: col tempo, nessuno più la discusse, ed anche i prodi, trovatala diffusa, l'accettarono; e così mano mano si arrivò ad affermare, che il Castellini, disperando del successo, esaltato dalle amarezze del disinganno, si era esposto volontariamente ai colpi, in cerca della morte.

     Troppo rimpicciolisce questa ipotesi, la figura di quell'uomo, conosciuto specialmente per la saldezza della tempra e per il suo coraggio libero e consapevole, perché la si debba neppure ammettere. Né poi la fazione di Vezza fu di tale importanza, né in essa mai il battaglione fu ridotto a così mal partito, da giustificare una risoluzione violenta, anche in un ufficiale meno calmo e meno sicuro di lui. Si ebbero da parte nostra diciannove morti e sessantasei feriti; molto meno da parte degli austriaci: o se i capi si dovessero fare ammazzare apposta per simili fatti, che cosa dovrebbe mai accadere là, ove scompaiono i reggimenti interi? E si noti che ei morì mentre avanzava, per cui non per anco doveva angustiarlo il dolore di una sconfitta.


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Umberto