Nelle ore mattutine del 18 si superò il colle del Passo di Campo, a 2388 metri di altitudine, fra il monte Campeglio (m. 2809) e altre giogaie, coperte di neve e di ghiacciai, irte di rocce nude e desolate; di là si scese nel bacino del lago di Campo, a 1957 metri. Ivi il colonnello Cadolini fe' sosta, in attesa dei viveri e delle guide dello stato maggiore, che ci dovevano dirigere frammezzo quel labirinto di valli, possibili insidie di nemici.
Il Cadolini piantò il quartiere in una piccola malga a Campo di sopra, nel pascolo a settentrione del lago e del suo scaricatore, in mezzo al suo reggimento. Noi occupammo un rialzo più a mezzodì, in un bosco di abeti e di lanci, fra i massi e le zolle coperte di rododendri, di aconiti, di genziane, di ogni sorta di fiori alpini.
Mancando i viveri anche in questo giorno, si sgozzarono due vacche comperate dagli alpigiani, poca cosa per tanti uomini. I volontari rossi si rifecero però sui formaggi immagazzinati nella malga, che infilavano su certe lunghe forchette, introdotte fra gli assiti del casolare, alle spalle del colonnello; e in meno che non si dica, i formaggi, che si volevano serbare per ultima risorsa, sparirono; a stento si salvarono gli assi, che riparavano l'alpe dall'intemperie.
Noi bersaglieri, poi, mentre dividevamo con i rossi le sofferenze della fame, con maggiore inquietudine di loro guardavamo al futuro; chè essendo noi i più lontani dal sentiero per cui gli approvvigionamenti dovevano arrivare, presentivamo che per poco fossero stati scarsi, il reggimento, con i suoi tremila uomini, non ci avrebbe neppur lasciate le briciole. Da previdenti, per ciò, mandammo a conto nostro il tenente Cantoni, con alcuni bersaglieri, giù per le valli, in cerca di provviste; non fosse altro per tener viva, mediante cotesto stratagemma, la fiducia dei soldati, i quali, per quel giorno, non si nutrirono che di speranze.
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