Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Intanto, come avviene in montagna, il tempo mutava repentinamente. La sera del 19 luglio una tempesta di neve e di grandine si scaricava sul campo, spegneva i fuochi, abbatteva i ripari, che avevamo tentato di erigere con sassi e rami di pino, inzuppandoci e intirizzendoci tutti. Se per poco si pigliava sonno, un gelido rivoletto, che ci scorreva dal collo alle estremità, veniva a destarci di soprassalto. Una notte diabolica.
     Né a dir vero furon molto dissimili le notti successive, benchè l'ingegno nostro si fosse subito industriato a migliorare le costruzioni, di cui una, opera dei sergenti Salvioni e Toni, era vantata come la più comoda che si potesse immaginare.
     I giorni scorrevano uggiosi. In quel tempo non era peranco diffusa l'abitudine e la passione dell'alpinismo, e s'incontrava molta gente colta, non solo inesperta, ma paurosa della montagna. S'immagini che i bersaglieri stupivano alla narrazione di una salita, fatta nel 1853 quando Badruth era una locanduccia sul Piz Langard in Engadina, ove ora si va a diporto. La maggior parte non aveva neppure imparato ad apprezzare la bellezza grandiosa delle Alpi, e imprecava alla purezza dell'aria, il miglior farmaco moderno ad ogni malanno, perché metteva in corpo un appetito, che non si riesciva a saziare. Gli stessi giovani, che formavano il battaglione, oggi troverebbero cosa naturalissima ascendere al mattino il Campeglio e alla sera il Monte del Castello, divertendosi non poco, mentre allora, avvezzi soltanto alla pianura, impacciati fra le foreste e le rocce, trovavano in ogni ricognizione una fonte perenne di brontolii.


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Umberto