Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Famosa fra tutte rimase la ricognizione condotta dal Tolazzi, che avendo seguito un sentiero da capre giù per certi scogli alti e scoscesi, portò l'intera compagnia su l'orlo di un precipizio, ove non sapeva andare avanti e tanto meno risalire. La relazione di quell'impresa e di altre analoghe, di cui il risultato invariabile si era di non scoprire mai né un nemico, né un amico, e nemmanco un indigeno, forniva poi il tema a commenti, intramezzati da certi moccoli, che a noi ufficiali conveniva proprio fingere di non udire.
     A calmare per poco il generale malumore giovò il ritorno del Cantoni, alla testa di una carovana di montanine, cariche di molte provviste, fra cui del tabacco, tesoro inestimabile, che procurò una ovazione al nostro tenente, il quale sorrideva modesto, insaccato in un costume di sua invenzione, fatto da una coperta di lana a grandi scacchi, da lui rinvenuta fra quelle baite.

     Avevamo per fortuna vari passatempi. Una banda di sedici camosci (ci riescì contarli) si aggirava fra le cime circostanti, e teneva in emozione gli animi dei numerosi cacciatori, che militavano nelle file garibaldine. I bersaglieri, con le carabine di precisione, fecero fiasco; uno dei rossi, invece, di sentinella agli avamposti, col suo fucilaccio da guardia nazionale, ne ammazzò uno, che donò al suo colonnello.
     Quando brillava un raggio di sole, i più gagliardi si gettavano nelle gelide acque del lago, in cui moriva il ghiacciaio, che credo si chiami Vedretta di Saviore. Tra gli arditi vi era Antonio Minich, di Padova, studente di legge, colto e intelligente, tra' più valorosi di Vezza, carissimo a noi tutti, al quale, mentre appunto si bagnava insieme con un amico, capitò una sorpresa poco gradita.


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Umberto