Un fischio, poi il “pac” di una palla, che si schiaccia contro un masso, gli fanno dapprima tender l'orecchio; poi un altro e un altro, in fine una grandine. Le inviava colà una compagnia del 4° che su la sponda opposta scaricava, per poi ripulirli, i fucili nell'acqua, non mai più immaginando, che i proiettili rimbalzassero tanto lontano, e credendo la riva di fronte deserta. Avendo gridato invano, Minich scampò miracolosamente, rifugiandosi fra i crepacci del ghiacciaio. Ma, a campagna finita, il poveretto rimase vittima di un accidente anche più strano.
Di quanto si operava dai nostri, noi eravamo all'oscuro. Giunse però anche lassù il dispaccio della battaglia di Lissa; quel dispaccio cabalistico, dal quale non si capiva se avessimo vinto o perduto, e che aprì il campo a discussioni interminabili, come avvenne, del resto, anche fra' mortali non appollaiati a duemila metri, se male non interpreto le lettere di due gentili signore, che da Milano scrivevano, una in data 22 luglio: “abbiamo le notizie della flotta vittoriosa, le quali a quest'ora saranno giunte fino a voi”; l'altra, di mia zia Simonetta, del 23: “il fatto glorioso della nostra flotta non abbiamo potuto goderlo in tutta la sua pienezza, perché il bollettino, redatto col solito sistema inesplicabile, non ci dava, come alcune lettere posteriori, la verità dell'assoluta vittoria”. Proprio così! |