Noi bestemmiavamo lassù come ariani. I commilitoni laggiù parlavano della nostra sparizione come di un maleficio di stregoneria, formando le congetture più peregrine di questo mondo. I messaggeri facevano la fine del corvo; e non essendoci possibilità d'intesa fra lo stato maggiore e il Cadolini, quell'imbroglio inesplicabile minacciava di protrarsi indefinitamente.
Mio padre, seguendo lo stato maggiore di Garibaldi, aveva saputo del dispaccio spedito al Cadolini, e ci aspettava fiducioso. Ma scorrendo inutilmente i giorni, cominciò anche lui ad essere inquieto, e forse più degli altri, chè non il patriottismo soltanto ma un sentimento più intimo lo faceva palpitare. Chiedeva notizie di noi a Guastalla, a Cairoli, a quanti incontrava; e tutti naturalmente rispondevano di saperne meno di lui. Garibaldi, quando vedeva mio padre aggirarsi nel campo, e mettere l'occhio al cannocchiale, che non abbandonava mai, diceva: “ecco Adamoli, che cerca suo figlio sulle montagne”. |