Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


Pagina 212
1-20- 40-60- 80-100- 120-140- 160-180- 200-220- 240-255

[Indice]

     Mio padre, senza dir verbo a chicchessia, si empì le tasche di pane e di cioccolata, pose ad armacollo la borraccia, e armato di una piccola rivoltella, il mattino, all'alba, si avviò soletto per la strada che fiancheggia il fiume Chiese.
     Camminò l'intera giornata. Sospettò un istante di venire attaccato da una pattuglia austriaca, e si preparò alla difesa, appoggiato a un masso; ma fu un falso allarme. Dormì in una baita, donde l'indomani un giovanotto lo guidò per un buon tratto, indicandogli poi il sentiero. E capitò finalmente al campo, ove fu accolto trionfalmente, festeggiato più della colomba dell'arca. Tutti se lo disputavano, tutti volevano udirlo a raccontare i casi del mondo dei viventi, e ripetere le imprese de' commilitoni. Figurarsi quale commozione dovette essere la mia!

     Di cotesto incidente m'intrattenne Garibaldi molti anni dopo, in una circostanza per me singolarmente memorabile. Il 26 luglio del 1879 Benedetto Cairoli, presidente del consiglio dei ministri, m'invitò ad accompagnarlo all'Ariccia per una visita amichevole a Garibaldi, che colà villeggiava. Il generale, sereno sul letticciuolo, dove la gotta lo teneva inchiodato, lietissimo di vederci, ci mostrò il piccolo Manlio, un vispo demonietto, che gli somigliava tutto, e del quale si compiaceva con ineffabile tenerezza, ci presentò la sua cara figliuoletta, e ci fece sedere alla sua mensa. Durante quelle ore la politica fu appena sfiorata, e la conversazione di quelle due anime elette si aggirò tutta, confidentemente intorno alle memorie del passato. Garibaldi parlò prima a lungo di donna Adelaide Cairoli, poi di mio padre: e allora appunto mi descrisse l'ansia di lui, quando mi aspettava a Storo, ripetendo, col suo sorriso, la storiella del cannocchiale.


[Pagina Precedente] - [Indice] - [Pagina Successiva]

Umberto