Finita la campagna del 1866, feci un viaggio agli Stati Uniti d'America, per vedere una buona volta, con i miei occhi, codesta repubblica, allora fra noi poco nota, e però continuamente e da tutti vantata come prototipo di progresso e di libertà. Datomi pertanto a conoscere i popoli e i costumi del nuovo continente, quasi dimenticai il continente vecchio, e poco seguii le vicende politiche d'Italia. Ma rimesso il piede in Inghilterra il luglio del 1867, fui ripreso dalla impazienza di saper delle cose di Europa, e specialmente della nostra penisola.
Mazzini mi aveva veduto altre volte a Londra, era stato ospite di mio padre a Varese, e però mi accolse e m'intrattenne addirittura con dimestichezza. Dopo di avermi fatto dire delle avventure più notevoli del mio viaggio in America, non senza interrompere il racconto con sagaci osservazioni, presto venne fuori con l'argomento, che era in cima al pensiero di ogni italiano, la questione di Roma, la quale, come egli disse, precipitava rapidamente verso il periodo della soluzione. A forti pennellate tratteggiò i dissidi fra i moderati del comitato nazionale, il focoso centro d'insurrezione, e il comitato d'azione, prediletto del suo cuore. Svolse, su la necessità dell'agitazione per apparecchiar la lotta, e sui mezzi indispensabili per iniziarla, considerazioni e giudizi originali, ispirati sempre alla più incrollabile fiducia. Ma più che su altro, ei si fermò e si dilungò, con evidente compiacenza, ad illustrare le sue idee intorno ai destini di Roma, quando la città eterna fosse stata libera. |