Egli pretendeva che i romani, in forza della costituzione del 49, scosso il giogo papale, ridiventassero padroni assoluti delle sorti loro. “Squarciato il velo lugubre, che avvolse Roma per dieciotto anni (ricordo le parole), non dee più avere alcuna efficacia quanto è avvenuto finora, perciò si tratta di un periodo di governo illegittimo, imposto e mantenuto dalla violenza, contro la volontà del popolo sovrano; e i romani, fatti liberi, ripigliano senz'altro, nella identica forma, quello stato di diritto, in cui era l'assemblea elettiva, quando essa fu sciolta dalla forza brutale”.
Conversava pacato, pronunciando la frase incisiva con semplicità, senza enfasi, provocando volentieri la discussione, incoraggiando alla risposta. E però non mi sentii impacciato ad opporre, sebbene la fama e la vista dell'uomo mi intimidissero, che durante quel periodo illegale della vita di Roma, l'Italia avesse pure creata una storia, e che l'organismo nazionale italiano avesse acquisiti dei diritti, ai quali anche Roma, per quanto eccelsa, non poteva sottrarsi. Né fui molto imbarazzato a propugnare le idee apprese di fresco in America, ov'era stato abbagliato dai trionfi della più esagerata iniziativa personale, mentre il Mazzini mi adduceva incontro il collettivismo, che vale ad accrescere, a suo dire, il potere dell'individuo. |