Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Povera madre! Poteva mai immaginare, scrivendomi queste parole, che io avrei trovato laggiù, dei due suoi figli, uno spento, l'altro prigioniero e già condannato, per le piaghe insanabili, alla morte!

     Partii finalmente da Varese, il 14, munito di passaporto, che mi venne prestato da un buon inglese di Belgirate. Oramai, senza un così fatto talismano era follia sperar di penetrare in Roma.
     Feci sosta a Milano, ove avevo dato convegno a parecchi commilitoni garibaldini, sempre con lo stesso fine, e ove mi toccò un nuovo disinganno per ragioni affatto opposte a quelle dei villeggianti di Varese. Anch'essi, non escluso l'amico Ettore Filippini, che tutti sanno quale inflessibile radicale egli sia ancora, avevano deciso di astenersi, perché i moti romani non assumevano carattere recisamente repubblicano, e perché Garibaldi, invitato a dichiarare se fosse pronto ad affrontare anche le armi nazionali, qualora gli si frapponessero nel cammino, non aveva risposto. Mi raccontarono che la decisione era stata presa dopo lunghi dibattiti, sia presso il patriota Casanova, sia nell'ufficio del giornale L'Unità Italiana, organo del partito d'azione, e devoto al Mazzini; ma che alcuni, tra i quali il Missori e Carlo Antongini, avevan dissentito, ed erano partiti per raggiungere Garibaldi. Mi accompagnarono alla stazione, e salutandomi con ogni sorta di auguri, mi lasciarono andare, deplorando, che la rigidità dei convincimenti vietasse loro di seguirmi. Peccato; chè Garibaldi aveva bisogno dei suoi fedeli e provati ufficiali, ben più che non il comitato dei loro denari!


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Umberto