Giunto a Firenze viaggiando insieme con Carbonelli, vi udii le grandi novità, dell'arrivo di Garibaldi, e della dimissione del ministero Rattazzi. Intorno al generale si era creata subito una ressa indescrivibile: gli uni volevano spingerlo innanzi, gli altri rattenerlo. Egli, impaziente, intendeva partire per l'Agro romano la stessa sera del 20 ottobre; si lasciò indurre, non so come, a rimanere in città sino all'indomani.
Il dopopranzo andai con Missori in casa Lemmi, ove Crispi ci lesse un telegramma di Cucchi, che annunciava di aver sospeso ogni moto nell'interno di Roma, e di aver ricevute notizie poco confortanti su lo stato delle bande, sparse per l'Agro romano. Mentre anche peggiori erano le voci, talune esagerate, che circolavano per la città e che raccolsi in una lettera inviata a mio padre il 21: “Cialdini incaricato di formare il nuovo gabinetto pare che declini il mandato perché Garibaldi ha respinte le sue proposte.... Anderà su un ministero reazionario che reprimerà ogni movimento colla forza.... La Francia tiene la flotta in Sardegna, minaccia di bombardare Napoli e di fare un colpo su Firenze se il governo italiano non distrugge le bande e rimette ogni cosa nello stato primiero.... Il dilemma che s'impone terribile e immediato è di cedere o di apparecchiarsi a una guerra disperata contro l'orgogliosa alleata...”. Passai quelle ore a Firenze, in mezzo alle ansie, alle agitazioni più vive e passionate.
Infine, il 22 a sera, essendo quello il giorno dello scalo a Livorno del postale francese, partivo per imbarcarmi e ritornare a Roma, onde dare al Cucchi e alla giunta insurrezionale un minuto rapporto della situazione.
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