Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Il piroscafo, sul quale salii, subito arrivato a Livorno, portava una brigatella di belgi, d'irlandesi, di francesi, che accorrevano a Roma, chiamati dalla urgenza del pericolo ad arruolarsi od a riprendere servizio sotto la bandiera del papa: questi ultimi, con le antiche loro uniformi; degli altri, parecchi eleganti e per bene, molti, come sempre accade, straccioni; fra essi però, notai facilmente che non regnava punto quell'entusiasmo espansivo da noi ben conosciuto. Pur non aprendo bocca, anch'io passai per un difensore dell'altare e delle sacre chiavi: non ci fu modo di evitare l'equivoco. Appena scesi a terra il mattino di buon'ora a Civitavecchia, corremmo tutti alla stazione ferroviaria, ove ci si annunciò, che a causa delle turbolenze scoppiate in Roma la sera antecedente, i treni ordinari erano sospesi; ma si formerebbe un treno speciale per i volontari stranieri allora sbarcati. Infatti, prima di staccare il biglietto, si esaminano passaporti, e ci s'interroga, se viaggiamo per servizio del papa; io non rispondo e passo.

     “Dunque la rivoluzione è incominciata, dunque in Roma si battono; arriverò in tempo anch'io, se questo maledetto convoglio vorrà camminare”: ripetevo fra me e me nel treno, con emozione sempre più viva. Non conoscendo la strada, che percorrevo la prima volta, tendeva di continuo l'orecchio, per udire il rimbombo del cannone e il rintocco delle campane; ad ogni curva della linea aguzzavo lo sguardo, per iscorgere un sintomo della battaglia: ma invano. Finalmente, sboccando sul Tevere, mi apparve Roma, ma tranquilla, silenziosa, ravvolta nella sua impassibilità solenne: alla stazione, l'omnibus dell'Albergo di Roma mi trasportò, come in qualunque altro giorno dell'anno, traverso le vie e le piazze spopolate; il signor Valenti, direttore dell'albergo, che io mi arrischiai interrogare con circospezione, mi rispose evasivamente, stringendosi nelle spalle. Poco dopo arrivò il Guerzoni, anch'egli alloggiato al Roma, anch'egli sotto altro nome e con passaporto di Malta; mi menò in camera, e mi disse dei tentativi falliti al Campidoglio, a piazza Colonna, alla caserma Serristori; della presa di porta San Paolo, per la quale si escì alla Vigna Matteini, ove, in cambio di fucili, furono trovati appostati i gendarmi papalini; di Ripetta, inutilmente occupata per tutta la notte dagl'insorgenti, che ivi aspettavano i fratelli Cairoli; di questi, finalmente, che non erano giunti, ma dei quali si prevedeva male, perché poco prima, dal terrazzo della casa dello scultore Lombardi, in via degli Artisti, ov' egli era salito con Cucchi, essendo impossibile uscir di porta del Popolo o andar su al Pincio, militarmente tenuti dalle truppe, si udivano distinti i colpi di fucile oltre via Flaminia. Di altro egli non sapeva dirmi nulla.


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Umberto