Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Ma la voce dello sbarco dei francesi a Civitavecchia mutò la faccia delle cose, e distrusse negli animi nostri ogni fiducia di sicura riscossa. D'accordo con Cucchi, Guerzoni ed io decidemmo di raggiungere senza indugio Garibaldi, per informarlo della verità vera, e sfrondare, ove ne fosse il caso, le fallaci illusioni, ponendolo in grado di agire con perfetta conoscenza della situazione. Cucchi rimaneva per vedere con i proprii occhi i francesi, e mandare, sul conto loro e i loro intendimenti, ragguagli esatti a Garibaldi.
     E, di fatto, con la solita sua imperturbabilità, il 30 ottobre ei si recò, insieme con don Domenico, un prete amico, che gli serviva di egida, alla stazione ferroviaria, allora informe baraccone di legno, incontro a quel reggimento di linea e a quel battaglione di cacciatori comandati dal barone di Polhés, generale di brigata, che arrivarono per i primi in Roma, e ai quali anch'egli, nella folla, battè le mani e gridò evviva. Trascinò poi il suo Acate alla tavola rotonda dell'Albergo della Minerva, ove gli ufficiali francesi, riscaldati dai fumi del vino e delle vivande, non tardaron molto a far manifesta la volontà de' loro capi di schiacciare immantinenti l'idra garibaldina.

     Il 1° novembre, per mezzo dei suoi fidati informatori, Cucchi ebbe copia di tutto il piano della campagna, che doveva essere intrapresa dagli alleati, e lo spedì al Generale, nelle cui mani pervenne la notte seguente, mediante il solito sistema delle pallottoline di carta velina, ravvolte nei foglietti di stagnola, e affidate a un buttero, che l'avrebbe inghiottite se sospettasse per caso di essere perquisito. Avendo così, fino all'estremo, coscienziosamente compiuta la sua missione, Cucchi abbandonò Roma, e per Civitavecchia, Livorno e Firenze, accorse da Garibaldi, che incontrò al suo ritorno da Mentana.


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Umberto