Singolarissima avventura, in quel periodo singolare, di questo giovane di ventidue anni, secondogenito del principe di Piombino; il quale, indossata la camicia rossa, va con Garibaldi alla conquista di Roma, confondendo, in un solo sentimento di poesia divina, l'amor della patria e l'amore della bellissima gentildonna, che egli doveva, come a guiderdone, impalmare poco dopo!
Don Ignazio accompagnò, in cima al mastio del castello, Garibaldi, che al solito vi rimase lungamente, scrutando d'ognintorno il paese. Quanto a me, dinanzi a quel mirabile panorama della campagna romana, mi sentivo trasportare qualche anno addietro, allorché dalla cupola dei benedettini di Catania, nel 62, contemplavo nel magico sole del mezzogiorno, brulicare anche laggiù turbe non meno indisciplinate dei volontari di questa volta, mentre fin da quel giorno l'occhio della mente volava al cupolone di San Pietro, che oggi, non lungi da me, mi torreggiava maestoso sull'orizzonte.
Durante quella giornata Garibaldi pensò di costituire un governo provvisorio, e mandò fuori un proclama insurrezionale.
Il 2 io seguii Garibaldi a cavallo sin oltre Mentana. Al ritorno eravamo attesi da Corte, Sineo, Negretti e Costa, venuti appositamente da Firenze per indurre il generale a ritirarsi di fronte al destino ineluttabile.
Ed eccoci al mattino del 3 novembre.
Un'ora dopo la mezzanotte arrivò il buttero, con il dispaccio urgente del comitato d'insurrezione, che Basso svolse dalla stagnola e portò a Garibaldi, il quale dormiva profondamente. Era il dispaccio, redatto dal Cucchi che rendeva conto di tutto il piano stabilito nel consiglio di guerra, tenuto la sera del 1° novembre, fra i generali alleati, sotto la presidenza del Kanzler; della decisione presa di attaccarci il mattino del 3; dell'ora della partenza, dell'ordine di marcia, i pontificii dell'avanguardia, onore impetrato dal De Charette, i francesi in coda; insomma, di tutto ciò che era a noi opportuno sapere.
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