Subito dopo comparvero i densi battaglioni di francesi, che noi, per le ragioni addotte dal Generale, e per aver udito i pontificii asserire, che le truppe di Napoleone avrebbero custodita la città, e ceduto ad essi il vanto di annientar Garibaldi, scambiammo per i legionari d'Antibo, i quali, com'è noto, vestivano l'uniforme francese. Anzi era tanto radicata in noi questa convinzione, che nella relazione del fatto di Mentana, scritta, non appena di ritorno in Firenze, dal Guerzoni, e firmata anche da me, un tale errore è mantenuto.
Le due linee avversarie stettero per poco ferme, una di fronte all'altra, scambiandosi i colpi di fucile; poi la nostra cominciò a piegare, né però la francese affrettò la sua marcia misurata. Seguendo il movimento generale di ritirata, io capitai presso uno dei nostri cannoni, collocato da un ufficiale, che credo fosse il Fontana, di Trento, in un campo di radi ulivi, ove si era affondato fino all'asse. Gli uomini, che lo servivano, tentavano di trascinare il pezzo fuori di quella fanghiglia, appiccaticcia come pece; non riuscendovi, invocavano l'aiuto de' passanti. Mi posi anch'io a tirar la corda, ma la grandine delle fucilate cadeva sempre più fitta, e gli uomini, un dopo l'altro, scampavano, malgrado gli eccitamenti del giovine ufficiale. Finii a fare come gli altri, e riparai in un avvallamento, ove mi trovai solo, udendo sul capo il fischio delle palle, ma non vedendo più né amici né nemici, perché questi non ci inseguivano. Avviatomi verso Monterotondo, per il viale che mena al paese, scorsi, dietro un lecce, il Nuvolari, che osservava i movimenti dei francesi. Ci comunicammo le nostre considerazioni sul rumore dei colpi, prodotto dai fucili nemici, e io proseguii, saputo dal Nuvolari che lassù avrei trovato Garibaldi e i volontari, non poco ansioso per la sorte di mio padre.
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