Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Mio padre era rimasto indietro, il mattino, per varie faccende, fra le altre quella di accompagnare i suoi amici feriti dal convento dei cappuccini, o dalle case in cui s'erano rifugiati, alla stazione ferroviaria, diretti a Terni. Così aveva accomodato nel treno il Mosto, di Genova, ferito, all'attacco della porta di Monterotondo, assai gravemente alla gamba; e insieme con lui Paolo Carcano, di Como, allora conosciuto da tutti i volontari con il soprannome di piccirillo, oggi deputato al Parlamento, colpito nel braccio, anche in quel fatto, da una palla che sempre ha dentro le carni. Mio padre si era quindi avviato verso il campo di battaglia: ma incontrati i nostri che si ritiravano, e non vedendo me, e credendomi perduto, aveva seguito Garibaldi su la torre; e mentre questi guardava dall'alto, solitario, ciò che seguiva, egli, ritrattosi nell'ultima camera, appoggiato il capo alle mani, muto si concentrava nel suo dolore....

     Al mio apparire nella corte del castello, i vecchi commilitoni mi chiamano e mi fanno cenno di accorrere. Bizzoni mi trascina: “va su, presto, alla torre; tuo padre ti cerca”. E sulla scala incontro mio padre, che avvertito
     del mio arrivo dalla voce fatta correre in un baleno da quei giovanotti, che tutti gli volevan bene, mi si getta fra le braccia, profondamente commosso.
     Poco appresso, insieme con altri pochi fidi, salimmo da Garibaldi. scendemmo al suo seguito dalla torre, e silenziosi lo aiutammo a porsi in sella. Mio padre, Alberto Mario, Anton Giulio Barrili, Benici ed io raggiungemmo Passo Correse nella solita carrozza.


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Umberto